Stress ossidativo, chi rischia di più e come si può affrontare

Il benessere, in chiave olistica, nasce anche dalla possibilità di poter contrastare fenomeni di degenerazione ed infiammazione impercettibili, che possono però mettere a repentaglio la salute futura.

In questo senso, la scienza ricorda l’importanza di contrastare lo stress ossidativo, meccanismo legato all’alterata produzione e all’accumulo di radicali liberi dell’ossigeno. Lo squilibrio fra la sintesi di questi radicali liberi e i composti antiossidanti in grado di neutralizzarle, determina accumulo di radicali liberi provocando proprio lo stress ossidativo.

La scienza oggi ci dice che un individuo sano e in buona salute possiede sufficienti riserve di sostanze antiossidanti in grado di neutralizzare la quota di radicali liberi prodotta. Ma quando i meccanismi di controllo e “pulizia” si alterano possono iniziare gli insulti ai tessuti dell’organismo, con alterazioni delle membrane cellulari, oltre che delle proteine e quindi dei geni.

Questo avviene in condizioni di malattia ma anche nella senescenza e quando si mantengono nel tempo cattive abitudini, come elevato consumo di alcolici, tabagismo, diete ipercaloriche sbilanciate.

Una alimentazione ricca di vegetali contenenti flavonoidi, polifenoli e una corretta integrazione di vitamina C, A, E e vitamine del gruppo B consente di fornire utili sostanze antiossidanti. E’ importante quindi misurare lo stress ossidativo per determinare e valutare la gravità degli effetti e le conseguenze di condizioni patologiche, o semplicemente per valutare lo stato di salute in condizioni di apparente normalità.

 

Come si fa? Il test, ormai standardizzato è in grado di fornire risposte circa la quantità di radicali liberi presenti riferiti a un range di riferimento ottimale. Inoltre può offrire informazioni sulla riserva di sostanze antiossidanti assunte con la dieta o con supplementi.

Associando questi dati a quelli derivanti da altri parametri, come i valori del colesterolo, si può quindi giungere grazie a speciali algoritmi ad una miglior definizione del rischio cardiovascolare.

Ovviamente, la situazione non è identica per tutti. Ci sono condizioni “scritte” nel Dna che possono limitare o condizionare l’efficacia dei cicli metabolici nella biochimica cellulare e quindi predisporre allo sviluppo di patologie. Ad esempio questo può accadere in presenza di polimorfismi (ovvero varianti) nei geni della metiltetraidrofolatoreduttati (MTHFR) che danno luogo a enzimi di minore efficacia.

Questo enzima interviene nel nostro organismo per moltissime attività: dalla regolazione del sistema immunitario, ai processi di detossificazione, dalla riparazione del genoma, allo sviluppo dell’embrione, dalla produzione di neurotrasmettitori, alla maturazione e differenziazione del sistema nervoso, dai meccanismi che presiedono alla cascata coagulativa, ai fenomeni degenerativi legati a malattia e invecchiamento. L’individuazione per tempo di queste varianti genetiche consente un intervento terapeutico efficace mediante implementazione nella dieta di opportune vitamine metilate per consentirne l’efficace utilizzo nel ciclo metabolico.

Per affrontare la situazione, si può puntare sul ruolo delle proprietà elettrochimiche ed elettromagnetiche svolte dai tessuti e dai fluidi del nostro organismo e negli organuli intracellulari. In questo senso, tra le novità più recenti c’è lo studio dell’effetto terapeutico dei campi elettromagnetici a bassissima intensità (ELF-EMF) opportunamente modulati. La loro applicazione in molte condizioni patologiche è in grado di influire in maniera positiva su quadri infiammatori locali o generalizzati e su condizioni di iperalgesia attraverso un meccanismo detto di ionorisonanza.

Questo approccio terapeutico ha per effetto l’abbattimento dello stress ossidativo. I campi elettromagnetici prodotti svolgono una funzione protettiva inducendo la sintesi delle heat shock proteins, ovvero proteine che offrono protezione alle cellule dagli stress di varia natura e producono un effetto antiinfiammatorio. Gli effetti terapeutici si esplicano sui tessuti, favorendo un effetto rigenerativo, ad esempio a carico delle ossa, delle certilagini, della cute e delle mucose. Inoltre il sistema nervoso centrale potrebbe trarre giovamento da questo approccio per le patologie degenerative e immunomediate. Da un punto di vista più generale si registrano effetti positivi per migliorare il tono dell’umore e in generale per i disturbi legati all’attività cerebrale: ritmi sonnoveglia, disturbi dell’attenzione, regolarizzazione dell’attività. L’applicazione di questa tecnologia sta aprendo prospettive nuove e risposte efficaci migliorando la qualità della vita dei pazienti.

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